“La Palestra” di Pier Luigi Fabbri è il racconto vincitore del premio Pulitzer Fortitudino 2020. La motivazione di Cristiano Governa.

“La Palestra” di Pier Luigi Fabbri è il racconto vincitore del premio Pulitzer Fortitudino 2020. La motivazione di Cristiano Governa.

La scorsa estate lanciammo l’idea di un concorso letterario  sulla nostra Fortitudo, dove i partecipanti dovevano raccontare il loro momento più bello con l’Aquila Biancoblu. Il tutto è stato raccolto in un opuscolo che ha avuto un grande successo e ora il nostro giudice unico e insindacabile – il giornalista e scrittore Cristiano Governa – ha decretato il successo del racconto di Pier Luigi Fabbri “La Palestra”, in cui l’autore ricorda in modo mirabile le sue prime esperienze in un luogo per noi mitico (la palestra Furla) e l’emozione provata quando, ad anni di distanza, vi ha poi fatto ritorno.

E’ doveroso in ogni caso ringraziare tutti coloro che hanno preso parte al concorso, semplici tifosi o autorevoli “penne” della stampa bolognese, regalandoci le loro straordinarie storie che dimostrano quale sia l’amore profondo che lega la nostra squadra alla vita di chi la ama.

La motivazione di Cristiano Governa per la vittoria del racconto “La Palestra”

Nessun fortitudino potrà mai valutare la fortitudinità degli altri. Oltre che improprio il gesto sarebbe inutile. Inutile perché come tutte le cose che si “sentono” ognuno le sente (e le vive) a modo suo. Ecco perché, anche in passato, ho sempre nutrito perplessità circa i “Master in fortitudinità” che a seconda dei venti spiegavano cosa fosse la Fortitudo e quale fosse il “necessaire” del perfetto fortitudino. Per questo motivo qua non ci troviamo a scegliere quale contributo (racconto) sia meglio di altri. Perché tutti hanno una luce forte, una voce onesta, una mano esperta nel saldare i ricordi con la narrazione di essi. Tutti sono “nostri”. Qua non siamo a decidere cosa sia meglio, semplicemente, come sarebbe onesto ammettere, ognuno di noi individua nei ricordi degli altri certe cose che gli appartengono ma soprattutto cose che forse abbiamo dimenticato.

E’ buffo ma ci sono ricordi di cose indimenticabili (le grandi catastrofi e le grandi gioie) e altri che se ne stanno più nascosti, in disparte. A lato del campo.  Leggendo i bei racconti che Lorenzo Apicella mi ha inoltrato ciò che salta immediatamente all’occhio è l’importanza che la Fortitudo ha nella vita di molte persone, ma soprattutto il tipo di importanza. Ovvero quello che significa.

Essere fatti a modo proprio e accettarlo, nel bene e nel male, questo secondo me significa.  Al di là delle questioni di base della nostra scelta, la lotta di chi è sfavorito, il cuore che abbiamo visto buttare in campo quando davvero c’era poco altro da gettare sul parquet, c’è qualcosa di più sotterraneo che mi colpisce. La Fortitudo ha accompagnato le nostre vite, i nostri giorni, anche quelli lontani dal basket.  Dai risultati. E’ stata una di famiglia. Lasciamo stare la domenica e la partita (lasciamo stare si fa per dire) penso ai giorni comuni della nostra vita, quelli al lavoro, in famiglia, nel dolore e nella felicità. Non ce n’è stato uno trascorso senza un pensiero a lei.  Un giocatore in arrivo, una partita che ci torna in mente, un amico conosciuto sulle gradinate, un viaggio nel quale, misteriosamente, lei ci mancava come una di casa. E poi i luoghi. E qua veniamo a noi, al racconto intendo.

La Fortitudo non si estrinsecava solo nelle due orette di Piazza Azzarita o nelle immagini tv che ci raggiungevano, la Fortitudo aveva una casa, una serie di luoghi nei quali la potevi respirare.  Mi è piaciuto il racconto “La Palestra” non più degli altri ma diversamente dagli altri, perché ricorda l’importanza di un posto che, anche simbolicamente, rappresentava quello che eravamo. La Furla. Quella palestra infilata sottoterra, nascosta nel ventre di Bologna, quel meraviglioso odore di ascelle (esatto) che respiravi già scendendo le scale, quella piccola cripta che lambivi prima di accede al campo. Le gradinate incassate nel muro, come a fornire un riparo per le vicissitudini che sarebbero arrivate e soprattutto terribilmente simili ai portici della nostra città. La Furla era il posto nel quale scorrevano i giorni prima di quelle due ore della domenica. Lì, per molti anni, è stato pensato, preparato e sognato il futuro.

Sia sul campo che sugli spalti. I giocatori là sotto e i tifosi sopra, al bar, facevano il loro mestiere di figli, tutti diversi e tutti ugualmente importanti, della stessa Madre.  Bambini, giovani e anziani stavano lì a fare il proprio percorso. Chi sportivo e quindi sul campo, chi su un tavolino, a leggere un giornale o a giocare a carte. O magari ad attendere un figlio, come faceva mio padre, come faccio adesso io.

In quel posto trovavi sempre qualcuno che magari non conoscevi ma che desiderava e sperava le stesse cose che speravi tu. Di quanti luoghi possiamo dire lo stesso? Ecco perché ho trovato, nel ricordo della Furla (e di un ragazzino che giocandoci accetta la responsabilità che quella scelta comporta) che Pier Luigi Fabbri ha proposto, una luce diversa (ripeto, non meglio o peggio, semplicemente diversa) rispetto quella degli altri racconti. Una luce rivolta a quello avveniva lontano dalle sere delle partite, ma che non era meno importante.

Da fortitudino sono sensibile a ciò che è difforme, chi meglio di voi può capirlo? Ecco allora che nessuna gara di ricordi (con conseguente valutazione dell’importanza di essi) è andata in scena. Bensì l’individuazione di quello che rimanendo “fuori dal campo” ha fatto luce su un luogo che, volenti o nolenti, rappresenta per tutti noi l’indirizzo del paradiso.

In un passaggio del racconto Fabbri scrive della Furla “Mi ha riconosciuto” dando a quel luogo un’anima di essere umano, un’anima fatta anch’essa di emozioni e di ricordi. E soprattutto la capacità di “riconoscerti”, di capire chi sei e dirti “qua puoi esserlo”.

 

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